ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

11/22/2024 | Press release | Distributed by Public on 11/22/2024 08:07

La decisione della CPI su Netanyahu, tra giustizia e politica

Sei mesi: tanto è durato il periodo che la Camera Preliminare della Corte penale internazionale (CPI) si è data prima di dare il via libera alla richiesta del Procuratore, Karim Khan, per i mandati di arresto per crimini di guerra e crimini contro l'umanità richiesti per Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant, rispettivamente Premier e ora destituito ministro della difesa del governo israeliano, e Mohammed Deif, capo delle Brigate al-Qassam nella Striscia di Gaza. Per quanto riguarda gli altri due leader di Hamas nel mirino del Procuratore, Ismail Haniyeh e Yahya Sinwar, la richiesta di mandati di arresto è stata ritirata a seguito della conferma della loro morte, diversamente da Deif il cui decesso è stato avvalorato solo da fonti israeliane. Già qualche detrattore della CPI sospetta che il mandato per Deif sia stato mantenuto per dimostrare imparzialità tra le due parti in conflitto.

Cosa succede ora?

I principi cardini che vigono per qualsiasi tribunale che opera in uno Stato di diritto sono: la legge è uguale per tutti, la presunzione d'innocenza, il diritto di difesa e le garanzie processuali dell'imputato (principio rafforzato nello Statuto di Roma, istitutivo della Corte, che non prevede processi in contumacia, come sta avvenendo per quello in corso a Roma per Giulio Regeni). Principi che valgono anche per la CPI, ai quali si aggiunge l'obbligo di cooperazione da parte degli Stati parte dello Statuto. L'Olanda ha già annunciato di essere pronta a eseguire il mandato di arresto. La Spagna e altri paesi UE hanno confermato la loro piena e leale cooperazione. L'Italia non si è capito.

Sul fronte opposto, alcune voci si sono levate deprecando la mossa della CPI in quanto intempestiva rispetto a una risoluzione del conflitto, a dire il vero non ancora alle viste, oppure per il rischio di scatenare posizioni ancora più oltranziste da parte degli elementi più estremisti del governo di Tel Aviv, cui Netanyahu è politicamente assoggettato, peraltro puntualmente avvenuti. Va ricordato che la Corte agisce sulla base del mandato che le è stato conferito dagli Stati Parte (124) sui crimini di sua competenza. Non svolge valutazioni politiche. Il Procuratore, nella sua richiesta poi convalidata dalla Camera Preliminare, non ha ritenuto vi fossero gli estremi per indagare sul crimine di genocidio, anche se invocato da alcune forze politiche ed eminenti personalità straniere.

La reazioni alla decisione

A differenza dei Tribunali ad hoc istituiti ex post, la CPI, se debitamente sostenuta dagli Stati Parte, fatto che non è sempre avvenuto, dovrebbe agire anche da deterrente. Per questo suonano incongrue le dichiarazioni rilasciate a caldo da Netanyahu che parla di una "decisione antisemita della Corte penale internazionale che equivale al moderno processo Dreyfus" e che "Israele respinge con disgusto le azioni e le accuse assurde e false da parte di un organismo politico parziale e discriminatorio". Anche il Presidente, Isaac Herzog, ha espresso concetti analoghi nonostante i soggetti incriminati siano due individui, ancorché con alte responsabilità politiche (tra cui quella di fare di tutto per liberare gli ostaggi il che, alla prova dei fatti, non sembra essere stata in cima alla loro agenda), non l'intero Stato ebraico, di conseguenza rimane difficile ravvisare antisemitismo in questo caso.

Si poteva evitare?

Evidentemente Netanyahu non ha preso sul serio lo scorso maggio la richiesta del Procuratore, visto che non ha minimamente cercato di porvi rimedio. Aveva tre strade: sospendere azioni militari che configuravano crimini di guerra e crimini contro l'umanità, come dettagliatamente e compiutamente descritti negli atti di accusa a seguito di approfondite e ampie indagini da parte dell'ufficio del Procuratore; liberarsi degli elementi più estremisti della sua compagine di governo (quelli che oggi, come reazione alla decisione della CPI, chiedono "l'applicazione della sovranità su tutta la Cisgiordania e l'insediamento in tutte le parti del paese"); concedere al sistema legale interno l'opportunità di avviare un procedimento domestico che avrebbe dimostrato che lo Stato d'Israele non era "unable or unwilling" di mettere questa leadership sul banco degli imputati, inducendo il Procuratore della CPI a fare un passo indietro in base alla complementarità, principio cardine dello Statuto della Corte, ed evitando a Netanyahu e Gallant l'onta di rintanarsi a casa per evitare di essere arrestati all'estero da parte delle autorità di qualche paese adempiente.

Sono tutti e tre punti rilevanti. Sul presunto comportamento ostruttivo delle Forze di difesa israeliane (IDF) al valico di Rafah e a Kerem Shalom si può discutere per esempio, come pure se la Camera Preliminare abbia accolto le tesi del Procuratore senza approfondire alcuni aspetti circostanziali. Ancora più importante, è noto che gli uffici legali dell'IDF stanno indagando su circa 300 possibili crimini di guerra commessi dai propri soldati, con inchieste già aperte in 150 casi. Il punto è se tali comportamenti venivano eseguiti in base a ordini che venivano dall'alto. I risultati delle indagini del Procuratore della CPI sono preliminari quindi nessuno vieta alle autorità israeliane di aprire un procedimento statale, come già fatto dopo il conflitto a Gaza nel 2008-09 con la Commissione Turkel, che a lungo ha tenuto a bada qualsiasi coinvolgimento della CPI.

Parallelamente, Hamas ha pochi motivi per applaudire visti i crimini efferati che ha compiuto il 7 ottobre e per gli ostaggi prelevati e imprigionati in condizioni disumane, ragion per cui il suo vertice, prima di essere decimato, era oggetto di altrettanti mandati di cattura.

Conseguenze politiche?

L'affermazione della giustizia penale internazionale è un processo laborioso che viene da lontano. Può produrre effetti collaterali nei processi politici ma occorre continuare a tenere la barra dritta, senza troppo strappi o caveat dovuti alle circostanze, perché è l'unico sistema che si conosca che fissi regole che valgono per tutti nell'interesse collettivo. Se non ci fosse la CPI responsabili di orrendi crimini, ad ogni latitudine, rischierebbero di rimanere impuniti e le loro vittime di rimanere senza giustizia.