ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

09/24/2024 | Press release | Distributed by Public on 09/24/2024 02:37

Niger: cosa è cambiato a un anno dal golpe

Il 26 luglio 2023 un colpo di stato militare ha deposto il presidente del Niger Mohamed Bazoum, instaurando una giunta militare guidata da Abdourahamane Tchiani, fino ad allora generale della guardia presidenziale di Niamey. A un anno di distanza, appare evidente come l'onda lunga di tali eventi abbia avuto ripercussioni che travalicano i confini del Niger. Interagendo con dinamiche regionali e globali, infatti, il golpe di Niamey ha contribuito ad accelerare il processo di frammentazione e polarizzazione degli stati dell'Africa occidentale, inaugurato dai precedenti golpe militari in Mali (agosto 2020 e maggio 2021) e Burkina Faso (gennaio e settembre 2022). Mali, Burkina Faso e Niger hanno avviato una convergenza politica e militare, denominata Alleanza degli stati del Sahel (Aes, secondo l'acronimo francese), annunciando parallelamente l'intenzione di abbandonare la storica organizzazione regionale della Comunità economica degli stati dell'Africa occidentale (Ecowas), di cui sono (stati?) membri fin dalla fondazione nel 1975. Negli ultimi mesi si sono quindi susseguiti i tentativi di mediazione, in larga parte guidati dagli stati regionali, finalizzati a scongiurare la paventata lacerazione di Ecowas. All'esito incerto di tali tentativi hanno contribuito le prese di posizione - maldestre o maliziose - delle potenze extra-africane interessate a mantenere o guadagnare influenza nella regione; tra questi spiccano in primis la Francia e la Russia, ma anche la Cina e gli Stati Uniti nonché, più defilata, l'Italia.

Mentre il quadro regionale di alleanze resta fluido, si segnala il progressivo inasprimento delle relazioni bilaterali fra gli stati del Sahel centrale afferenti a Aes da una parte, e i loro vicini della fascia costiera affacciata sull'oceano Atlantico, dall'altra. In particolare, l'esacerbarsi delle tensioni fra Niger e Benin, fra Burkina Faso e Costa d'Avorio, fra Mali e Mauritania, lascia presagire il rischio di un'ulteriore destabilizzazione di una regione già segnata dall'avanzata dei gruppi terroristi d'ispirazione jihadista, dal radicamento della criminalità transnazionale organizzata, e dall'impatto del riscaldamento globale.

Ecowas: dalla ribalta alla disfatta?

Di tutte le comunità economiche regionali che articolano la struttura dell'Unione africana (UA), l'Ecowas è certamente una delle più consolidate e proattive. Fra i protocolli che ne definiscono il funzionamento meritano in questa sede particolare attenzione quelli relativi al mutuo soccorso di difesa del 1981, e quello relativo alla promozione della democrazia e della good governance del 2001. Sulla base di tali trattati, l'Ecowas è più volte intervenuta nel corso della sua storia per ovviare a problematiche transizioni di potere dei suoi stati membri. Forze d'intervento Ecowas sono state in quest'ottica dispiegate in occasione delle guerre civili in Liberia, Sierra Leone e Guinea-Bissau negli anni Novanta, e poi ancora Liberia e Costa d'Avorio negli anni Duemila. Negli anni Dieci del Duemila, l'Ecowas ha soprattutto fatto ricorso alle pressioni diplomatiche per cercare una soluzione alle crisi istituzionali emerse in Mali, Gambia e Guinea, con alterne fortune.

Dal 2020, una serie di colpi di stato militari ha portato alla deposizione delle autorità elette democraticamente - sebbene non sempre in maniera del tutto trasparente - in Mali, Guinea e Burkina Faso. A fronte della violazione dei principi fondamentali a cui si richiamano i propri protocolli, l'Ecowas ha quindi disposto la sospensione della membership degli stati interessati, minacciando ulteriori sanzioni. Tali misure si sono però rivelate di limitata efficacia nel favorire il ripristino dell'ordine costituzionale: al contrario, le giunte al potere ne hanno approfittato per fare leva su una retorica vittimista e sovranista che ne ha cementato il consenso, spianando la strada a quella che alcuni osservatori hanno definito "un'epidemia" di colpi di stato in Africa occidentale.

Il golpe in Niger del luglio 2023 è avvenuto al culmine di questo processo. Alla costernazione dei leader occidentali, che avevano puntato molto sulla partnership con Niamey per la lotta all'espansione jihadista e alla migrazione irregolare nella regione, si è così accompagnata la preoccupazione dei capi di stato dell'Africa occidentale, spaventati dal dilagare di un populismo militarista apparentemente inarrestabile. In particolare, il presidente della Nigeria Bola Tinubu, eletto solo due mesi prima alla guida dello stato che da solo rappresenta più della metà della popolazione e del Pil dell'intera zona Ecowas, nonché presidente di turno dell'organizzazione, è inizialmente parso molto determinato ad adottare misure più incisive per porre fine alla deriva golpista. Il 30 luglio 2023 l'Ecowas ha pertanto adottato delle sanzioni particolarmente severe nei confronti del Niger, fra cui la chiusura delle frontiere, l'interdizione dei voli commerciali, la sospensione di tutte le transazioni finanziarie e il congelamento degli asset di Niamey detenuti dalla Banca centrale dell'Ecowas. L'organizzazione sub-regionale ha inoltre rivolto un ultimatum alla giunta appena insediatasi nella capitale nigerina, paventando un possibile ricorso alla forza per assicurare il reinsediamento di Bazoum alla presidenza e il ripristino dell'ordine costituzionale.

Come e più che nei casi di Mali, Guinea e Burkina Faso, tuttavia, l'intransigenza dell'Ecowas non ha sortito l'effetto atteso dai suoi promotori. A decretare il fallimento dell'iniziativa ha contribuito il conclamato sostegno della Francia all'opzione militare. La giunta nigerina ha infatti fatto leva sul diffuso sospetto nei confronti delle ambizioni egemoniche di Parigi nella regione per alimentare teorie cospirative, e riscuoterne in cambio una legittimazione popolare in nome della lotta anti-imperialista e post-coloniale. La minaccia di ritorsioni militari ha perciò finito per cementare la solidarietà politica fra le giunte militari golpiste del Sahel, proiettando alla ribalta internazionale quella che inizialmente pareva poco più che un'opportunistica congiura di palazzo a Niamey.

Il 16 settembre 2023 Mali, Burkina Faso e Niger hanno annunciato la nascita dell'Aes, allo scopo di contrastare collettivamente ogni minaccia alla sovranità dei paesi contraenti. Se la paventata operazione militare dell'Ecowas in Niger ha offerto il pretesto per l'atto fondativo, tuttavia, non è difficile indovinare fra le motivazioni che hanno portato alla creazione dell'Aes l'ambizione dei leader maliani di rilanciare l'offensiva contro i ribelli tuareg che contestano la sovranità di Bamako nel nord del paese. E infatti, dopo aver imposto il ritiro della missione di stabilizzazione Onu Minusma nei mesi precedenti, a partire da ottobre la giunta maliana ha scatenato l'offensiva nei territori contesi del nord, con il sostegno politico dei paesi dell'Aes e, soprattutto, il contributo operativo dei suppletivi russi di Wagner.

Per la giunta insediatasi a Niamey nell'estate, il bilancio conclusivo dell'anno 2023 ha dato prova di risultati divergenti sul fronte politico ed economico. Se la creazione dell'Aes - unitamente alle crescenti esitazioni della comunità internazionale - ha in effetti consentito di scongiurare la minaccia dell'intervento militare dell'Ecowas, sul piano economico le sanzioni contro il Niger hanno avuto un impatto tutt'altro che trascurabile. La crescita del Pil su base annua è precipitata dal 12% del 2022 al 2,4% del 2023, la legge di bilancio è rimasta priva di adeguate coperture finanziarie, e la solvibilità del debito pubblico sui mercati finanziari internazionali è stata ripetutamente declassata. Ne sono conseguiti un sensibile aumento della povertà e della malnutrizione, a cui ha contribuito anche l'inflazione alimentata dall'instabilità internazionale[1].

A fronte delle perduranti tensioni, il 28 gennaio 2024 Mali, Burkina Faso e Niger hanno dichiarato congiuntamente l'intenzione di ritirarsi dall'Ecowas, denunciandone le "sanzioni disumane"[2]. I protocolli dell'organizzazione impongono un periodo di un anno per l'esame e l'attuazione delle procedure richieste. Nel frattempo, l'Ecowas ha fatto sapere che continua a considerare i paesi in questione "membri importanti della Comunità, e conferma l'impegno a trovare una soluzione negoziale all'impasse politica". In segno di distensione, il 24 febbraio l'Ecowas ha rinunciato al regime sanzionatorio nei confronti di Niamey. Il comunicato ufficiale invocava "ragioni umanitarie", ma non è difficile scorgere dietro tale formulazione la sconfitta politica della posizione intransigente inizialmente adottata dall'Ecowas.

Mediazioni e competizioni

La sconfessione della linea dura di Tinubu, che aveva peraltro generato importanti opposizioni anche all'interno della stessa Nigeria, ha aperto la strada ad altri attori intenzionati a proporsi come mediatori del conflitto fra l'Ecowas e l'Aes.

Si segnala in questo senso in particolare l'iniziativa del Togo. Il paese è membro fondatore dell'Ecowas. Pur non intendendo lasciare l'organizzazione regionale, si riserva di interpretarne in maniera disinvolta e "pragmatica" le prescrizioni in materia di democrazia e good governance. Il presidente Faure Gnassingbé, in carica dal 2005, è il figlio dell'ex dittatore Gnassingbé Eyadema che aveva a sua volta governato il paese per 38 anni. Una recente riforma costituzionale, fortemente contestata dall'opposizione, ha reso l'elezione del presidente da diretta e popolare a indiretta e parlamentare, consentendo a Faure Gnassingbé di ripresentarsi alle elezioni negli anni a venire. Queste ambiguità del regime togolese hanno permesso a Gnassingbé di acquisire la fiducia tanto dei paesi membri dell'Ecowas quanto dei paesi uscenti dell'Aes. Facendo la spola fra Niamey, Abuja e le altre capitali dei paesi Ecowas, la mediazione del Togo sembra aver consentito il congelamento dell'opzione militare regionale, la rimozione del rigorosissimo regime sanzionatorio nei confronti di Niamey e la liberazione di uno dei figli di Bazoum detenuto dai militari. D'altro lato non è però riuscita a ricomporre la frattura in seno all'Ecowas e a indurre i membri dell'Aes a riconsiderare i propri propositi di scissione. Il Togo non ha peraltro mancato di beneficiare del perdurante stallo. Il blocco commerciale e doganale decretato dall'Ecowas ha infatti rischiato di soffocare i paesi dell'Aes, privi di sbocchi sul mare. L'interruzione del traffico dai tradizionali porti di approvvigionamento del Sahel centrale - Abidjan in Costa d'Avorio e Cotonou in Benin - ha consentito al Togo di proporre il porto di Lomé come via commerciale alternativa, accampando ragioni umanitarie cui sottendono ambizioni di influenza politica e rilancio economico.

Nel frattempo, anche il Senegal ha cercato di proporsi come mediatore per cercare di ricomporre la paventata frattura dell'Ecowas. Le turbolente elezioni presidenziali tenutesi a marzo 2024 hanno proiettato alla presidenza del paese Bassirou Diomaye Faye, giovane candidato del partito "anti-sistema" Pastef. Il Senegal offre quindi credenziali uniche per svolgere un ruolo di mediatore apprezzato dalle parti: da un lato, si tratta di un paese membro fondatore di Ecowas, caratterizzato da una consolidata tradizione democratica, una forte crescita economica e una notevole influenza politica nell'Africa francofona; d'altro lato, il nuovo corso politico di Dakar manifesta più di una affinità con l'ideologia anti-imperialista e post-coloniale rivendicata dai paesi dell'Aes. Ne offre testimonianza il caloroso applauso con cui sono stati accolti i presidenti dei parlamenti di Mali e Burkina Faso intervenuti in occasione della cerimonia d'investitura di Faye, il 2 aprile 2024. Dakar ha immediatamente manifestato un rinnovato dinamismo in politica estera. Dopo le prime visite di rito ai paesi confinanti col Senegal, Faye ha inaugurato una tournée di incontri presso le cancellerie di peso della sub-regione, che a maggio lo ha portato, nell'ordine, in Costa d'Avorio, Nigeria e Ghana, dove ha discusso con i rispettivi capi di stato dell'esigenza di rinnovare gli sforzi ai fini di garantire la permanenza di Mali, Burkina Faso e Niger nell'Ecowas.

Mentre in Africa occidentale si moltiplicano le iniziative diplomatiche finalizzate a sanare il dissidio interno a Ecowas, l'Occidente fatica a emergere con un profilo chiaro. All'indomani del golpe in Niger, gli Stati Uniti hanno lasciato trapelare più di un dubbio sull'opportunità dell'opzione militare caldeggiata dalla Nigeria e assecondata dalla Francia. Il nuovo regime di Niamey sembrava aver ricambiato il favore, garantendo inizialmente a Washington un atteggiamento molto più accomodante di quello riservato a Parigi. In un'intervista rilasciata a dicembre 2023, nel contesto del precipitoso ritiro delle truppe francesi dal Niger richiesto dalla giunta, il primo ministro nigerino Ali Lamine Zeine aveva ribadito che la partnership strategica con gli Stati Uniti non era in discussione[3]. Tuttavia pochi mesi dopo, il 18 marzo 2024, la giunta di Niamey ha senza preavviso invitato le truppe americane, che in Niger disponevano di una delle loro più importanti basi militari nel continente, a lasciare il paese. A nulla sono valse le convulse trattative avviate immediatamente, nonostante il coinvolgimento di alti vertici militari e diplomatici di Washington. Gli Stati Uniti si sono rassegnati a cercare altri partner militari in Africa occidentale, orientandosi rapidamente verso la Costa d'Avorio. A fine aprile, il comandante in capo di Africom, Michael Langley, si è recato in visita a Abidjan per discutere con il presidente Alassane Ouattara l'ipotesi dell'apertura di una base americana.

Nel frattempo, dal 10 aprile sono arrivate a Niamey le prime truppe russe. Nonostante la modesta entità del contingente, per ora dislocato presso l'aeroporto della capitale e con limitata proiezione sul territorio, non è da escludere che possa trattarsi dell'avanguardia di un nuovo partneriato strategico con Mosca mutuato sull'esempio del Mali. Il cambio di regime a Niamey, inizialmente accolto con cautela a Mosca, offre infatti alla Russia l'opportunità di consolidare la propria influenza nell'area saheliana, cavalcando - e surrettiziamente promuovendo - l'appello delle piazze che vedono nell'egemonia dell'Occidente la perpetuazione di un sistema internazionale gerarchico di stampo (neo-)coloniale. Come altrove, la strategia di Mosca nella regione sembra collocarsi su un duplice registro: sul piano formale, la Russia esibisce un atteggiamento "pragmatico" offrendo una sponda diplomatica a prescindere dalle credenziali democratiche e costituzionali degli interlocutori; in questo senso, Mosca guarda con interesse alle giunte saheliane ostracizzate dalla comunità internazionale a guida occidentale, ma sembra astenersi dal prendere parte attiva nella disputa che oppone l'Ecowas e i paesi "secessionisti" dell'Aes. D'altra parte, canali informali verosimilmente riconducibili al Cremlino non esitano a condannare l'Ecowas, presentandola come un'organizzazione eterodiretta da malcelati interessi (neo-coloniali), e a esaltare le giunte militari dell'Aes come l'avanguardia di un movimento per la dignità e la sovranità.

L'Unione europea, dal canto suo, sembra essere messa fuori gioco dai dissidi fra i suoi stati membri. Il consenso formale circa la condanna del golpe e l'interruzione degli aiuti economici a Niamey nasconde in effetti un malessere diffuso rispetto alla linea dura promossa da Parigi. Particolarmente smarcata risulta la posizione dell'Italia, che continua a intrattenere relazioni costruttive con il Niger pur non riconoscendo la legittimità della giunta guidata da Tchiani. Dopo il risentito allontanamento delle truppe francesi e americane e il ritiro delle forze belghe e tedesche, la missione bilaterale italiana Misin costituisce l'unica rappresentanza militare occidentale rimasta in Niger: una posizione diplomaticamente delicata, che da una parte, sul piano politico, rischia di essere vista con sospetto dagli alleati europei fautori della linea dura nei confronti della giunta, e dall'altra parte, sul piano militare, suscita interrogativi di opportunità alla luce delle numerose crisi ai confini d'Europa che richiederebbero adeguate risorse.

Tensioni bilaterali fra il Sahel e l'Atlantico

La polarizzazione fra i blocchi regionali dell'Ecowas e dell'Aes ha contribuito ad alimentare crescenti tensioni bilaterali fra paesi membri dei due schieramenti. La controversia più accesa riguarda il Niger e il Benin. Il porto beninese di Cotonou ha storicamente rappresentato il principale sbocco sul mare del Niger, e specialmente della sua capitale Niamey. La chiusura dei traffici con il Niger decretata dall'Ecowas il 30 luglio 2023, e implementata coerentemente dal Benin, è stata interpretata dalla giunta e dai suoi sostenitori come un "tradimento" diplomatico. La via di approvvigionamento alternativa tramite il porto togolese di Lomé, pur rappresentando una boccata d'ossigeno indispensabile per evitare la completa asfissia della già provata economia nigerina, risulta in effetti più lunga, più costosa - a causa dell'attraversamento di una dogana supplementare, quella del Burkina Faso - e più pericolosa - a causa della presenza sul percorso di gruppi armati di ispirazione jihadista che assaltano e taglieggiano i convogli commerciali. In conseguenza delle tensioni crescenti fra Niger e Benin, la frontiera fra i due paesi è rimasta chiusa anche dopo la rimozione delle sanzioni Ecowas. Le autorità di Niamey intendono così punire il Benin, privando quello che è stato definito uno "stato entrepôt"[4] di un flusso commerciale vitale per l'economia del paese. In risposta alla ripicca del Niger, il Benin ha a sua volta chiuso il terminale di esportazione petrolifera di Sèmè, di fatto vanificando il recente completamento dell'oleodotto di 2000 km che avrebbe dovuto consentire l'esportazione del petrolio nigerino estratto dai siti di Agadem. Sono così frustrate le speranze delle autorità nigerine, che prevedevano di compensare le perdite dovute all'interruzione degli aiuti occidentali con i proventi del petrolio. Lo stallo non ha mancato di generare anche il disappunto della Cina, che ha finanziato la mastodontica infrastruttura. I buoni uffici di Pechino, così come le numerose missioni di dignitari beninesi a Niamey, non sono tuttavia bastati a disinnescare le tensioni fra i due paesi. A giugno l'arresto a Sèmè di cinque nigerini, che Niamey dichiara essere ingegneri e che Cotonou ritiene spie, suggerisce che il braccio di ferro è lungi dall'essere concluso.

Contemporaneamente, si segnala la crescente tensione diplomatica fra Burkina Faso e Costa d'Avorio. A gennaio, l'intelligence ivoriana ha arrestato un ex-miliziano delle Forces Nouvelles, l'esercito ribelle radicato nel nord del paese negli anni della guerra civile ivoriana, il quale avrebbe affermato in sede di interrogatorio di essere stato incaricato di reclutare dei giovani ivoriani insoddisfatti da formare alle armi in una base militare burkinabé. La memoria viva delle tensioni fra ivoriani "autoctoni" e migranti burkinabé "alloctoni", che aveva contribuito a innescare la guerra civile degli anni 2000, ha suscitato la preoccupazione delle autorità di Abidjan, ma anche la reazione stizzita della giunta di Ouagadougou. In un'intervista alla televisione nazionale, il capitano e guida del governo militare burkinabé Ibrahim Traoré ha ribattuto che "tutti i destabilizzatori del Burkina Faso sono in Costa d'Avorio"[5]. A marzo si sono segnalate scaramucce al confine fra i due paesi, inaspritesi fino al dispiegamento di una compagnia motorizzata burkinabé e un elicottero d'assalto ivoriano a seguito dell'arresto di due militari dell'esercito di Ouagadougou entrati senza permesso in territorio ivoriano.

Scontri frontalieri hanno caratterizzato anche le relazioni sempre più tese fra Mali e Mauritania. Nel corso della primavera si sono segnalati diversi sconfinamenti delle forze maliane e dei loro suppletivi russi in territorio mauritano. Bamako rivendica la necessità di inseguire i (presunti) terroristi in fuga dal Mali, lasciando implicito il sospetto che l'impegno mauritano nella lotta al terrorismo non sia privo di ambiguità. Se infatti la Mauritania, che era stato il primo obiettivo degli attentati jihadisti in Sahel fin dagli anni Duemila, oggi si presenta come il paese più stabile della regione, non è da escludere che ciò sia dovuto anche all'apertura di canali di dialogo mediata da leader religiosi, che avrebbero spianato la strada a una sorta di tacito accordo di non-aggressione[6]. D'altra parte, il sovranismo sbandierato dalla giunta di Bamako alimenta l'aggressività delle forze maliane, che in occasione dell'ennesima incursione a maggio hanno approfittato per piantare la bandiera maliana nel territorio mauritano di Kotal/Kotel, da anni oggetto delle rivendicazioni degli irredentisti maliani. Tali episodi hanno fortemente inasprito le relazioni diplomatiche fra Nouakchott e Bamako, che la rielezione di Mohamed Ould Ghazouani alla guida della Mauritania a giugno non ha contribuito a distendere. In questo quadro fluido, le trattative diplomatiche per salvaguardare l'unità dell'Ecowas proseguono, ma il loro esito resta quanto mai incerto. Nel frattempo, le alleanze globali fra le giunte saheliane, sostenute militarmente da Mosca, e i paesi affacciati sul golfo di Guinea, appoggiati dall'Occidente, contribuiscono a esacerbare le polarizzazioni regionali e bilaterali in Africa occidentale.

[1] T. Brouck, "Un an après le coup d'État, l'économie nigérienne à bout de souffle", Jeune Afrique, 2 agosto 2024.

[2] "Niger, Mali, Burkina Faso announce withdrawal from ECOWAS", Al Jazeera, 28 gennaio 2024.

[3] "After the Coup d'état, What Comes Next? A Conversation With Niger's Prime Minister", Center for Strategic and International Studies, 19 dicembre 2023.

[4] D. Bach, Regionalism in Africa. Genealogies, Institutions and Trans-State Networks, London, Routledge, 2017.

[5] "«Tous les déstabilisateurs du Burkina Faso sont en Côte d'Ivoire», dit le capitaine Ibrahim Traoré", RFI, 27 aprile 2024.

[6] F. Wehrey, "Control and Contain: Mauritania's Clerics and the Strategy Against Violent Extremism", Carnegie Middle East Center, 29 marzo 2019 .