ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

09/24/2024 | Press release | Distributed by Public on 09/24/2024 02:37

Quali sono gli interessi della Cina nell’Africa del Mediterraneo allargato

La Cina riveste un'importanza crescente in Africa, fungendo da attore chiave nel panorama economico e politico del continente. Negli ultimi due decenni Pechino ha intensificato i suoi legami con i paesi africani, investendo significativamente in infrastrutture e settori strategici, come l'energia e le risorse minerarie. La Cina ha anche saputo posizionarsi come un partner alternativo rispetto alle potenze occidentali, promuovendo relazioni basate sulla non-interferenza nelle questioni interne africane. Questi legami non solo favoriscono la crescita economica dei paesi africani, ma consolidano anche la posizione della Cina come potenza globale.

Questo approfondimento esplora la posizione e gli interessi del ruolo della Cina in Africa, e guarda agli aspetti economici e politici di questa relazione concentrandosi su Sahel, Africa Occidentale e Corno d'Africa, ma esaminando anche le dinamiche dell'intero continente africano. Si affrontano anche le critiche e le controversie sul ruolo della Cina in Africa, e si riflette sui possibili sviluppi futuri di questa relazione.

Le prime relazioni sino-africane risalgono a secoli fa, ma in epoca moderna hanno preso forma significativa a partire dalla metà del ventesimo secolo. Con la fondazione della Repubblica popolare cinese nel 1949, Mao Zedong iniziò a stabilire legami con i movimenti di liberazione africani, sostenendo le loro lotte per l'indipendenza[1]. In quel periodo, la collaborazione tra Cina e Africa si basava principalmente sulla solidarietà reciproca e sull'aiuto allo sviluppo, tramite fondi e progetti governativi. Un esempio emblematico di questa cooperazione è la costruzione della ferrovia Tazara (Tanzania-Zambia Railway), completata nel 1975, che ha rappresentato un simbolo di aiuto cinese e di solidarietà tra i due popoli[2].

Con le riforme economiche implementate a partire dal 1978, la Cina ha iniziato ad aprirsi, e le imprese cinesi a cercare nuovi mercati all'estero. Negli anni Novanta gli scambi tra Cina e Africa sono aumentati drasticamente e a partire dal 2000, con la creazione del Forum sulla cooperazione sino-africana (Forum on China-Africa Cooperation, Focac), le relazioni si sono ulteriormente intensificate. Nel 2012 la Cina è diventata il maggior partner commerciale del continente africano, e oggi è il quinto maggior investitore in Africa (dopo Paesi Bassi, Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna)[3]. I finanziatori cinesi (principalmente banche statali, ma sempre più spesso anche banche commerciali e investitori privati) concedono prestiti ai governi africani per sviluppare le infrastrutture del continente. Si stima che dal 2000 al 2022 le banche cinesi abbiano promesso e prestato ai governi africani circa 170 miliardi di dollari per finanziare circa 1250 progetti e infrastrutture[4]. Alcuni esempi sono la ferrovia che collega Addis Abeba in Etiopia al porto di Gibuti, oppure il porto di Lekki in Nigeria. Questi contributi di governo e imprese cinesi supportano la trasformazione del panorama economico del continente attraverso investimenti e cooperazione allo sviluppo.

Le motivazioni economiche della Cina in Africa

Forti motivazioni economiche spingono il governo e le imprese cinesi a intrattenere relazioni con l'Africa. Nel 2023 la Cina ha esportato in Africa merci per oltre 170 miliardi di dollari e ha importato un corrispettivo di 110 miliardi di dollari. Considerando in particolare l'Africa occidentale e il Sahel, aree ricche di risorse minerarie, le esportazioni e le importazioni sono state rispettivamente di 57 miliardi e 16 miliardi; mentre per il Corno d'Africa, questi flussi commerciali hanno raggiunto i 7 miliardi per le esportazioni cinesi e 1 miliardo per le importazioni.

Le esportazioni cinesi sono costituite principalmente da macchinari ma anche da molti altri beni prodotti dalle industrie cinesi (calzature e abbigliamento, telefonia e dispositivi elettronici, parti e componenti per l'industria e così via). Dall'Africa la Cina importa principalmente materie prime, come petrolio, minerali e metalli necessari per l'industria cinese[5].

L'accesso alle materie prime, tra cui le risorse "tradizionali" come petrolio, ferro e rame, ma anche i minerali necessari alla transizione energetica, è certamente uno dei motivi che spinge molte imprese cinesi a investire in Africa. Queste imprese esplorano ed estraggono le risorse minerarie del continente, acquisendo oro in Mali, petrolio in Ghana e Ciad, cobalto nella Repubblica Democratica del Congo e rame in Zambia[6]. Oltre all'estrazione e alla vendita, le imprese cinesi partecipano in misura sempre maggiore alla lavorazione dei minerali nel continente africano, come dimostrato dall'esempio dell'impianto cinese di lavorazione del litio a Mutoko in Zimbabwe[7].

Gli investimenti cinesi in Africa sono però molto diversificati e le imprese cinesi sono presenti in molti altri settori. Nel 2021 gli investimenti delle imprese cinesi in Africa riguardavano principalmente il settore edilizio (16 miliardi di dollari, pari al 37% degli investimenti cinesi in Africa), minerario (10 miliardi di dollari, 23%) e industriale (6 miliardi di dollari, 13%)[8].

Nel settore edilizio, le compagnie cinesi svolgono un ruolo di rilievo. Esse sono finanziate in parte da fonti cinesi, spesso statali, come ad esempio le banche di sviluppo (China Development Bank, China Eximbank), che prestano fondi ai governi africani per la realizzazione di infrastrutture, spesso a condizione che queste vengano appaltate a imprese cinesi. Talvolta sono le imprese stesse a fornire i prestiti, come nel caso della compagnia di telecomunicazioni Huawei, che in Etiopia ha finanziato e costruito l'espansione della rete telefonica e digitale del paese, per un valore di oltre 800 milioni di dollari. Altre volte le imprese cinesi costruiscono infrastrutture finanziate da terzi, come la Banca mondiale, o partecipano ad appalti e concorsi indetti dai governi africani. Ad esempio, in Niger la compagnia statale China First Highway Engineering sta lavorando alla riabilitazione del corridoio transahariano tra Agadez e Zinder, con un contratto del valore di 76 milioni di dollari finanziato dalla Banca mondiale. Infine, queste compagnie prendono contratti da clienti privati, anche se in scala ridotta rispetto alla partecipazione a progetti governativi.

Un'altra area in cui le imprese cinesi eccellono è quella industriale. Questo settore offre in Africa molte opportunità, visto lo scarso interesse di competizione africana e non: con una concorrenza limitata, le imprese private cinesi, forti delle loro conoscenze e della potenza del settore industriale in Cina, hanno trovato terreno fertile per i loro investimenti[9].

In Africa si distinguono due tipi di imprese industriali cinesi: quelle orientate al mercato estero e quelle che guardano al mercato africano. Le imprese del primo tipo sono più rare. Generalmente, queste imprese producono in Africa per riuscire a esportare nei paesi ricchi usufruendo della riduzione dei dazi sui prodotti che provengono dall'Africa. Ad esempio, imprese cinesi (ma anche taiwanesi, e di altri paesi asiatici) che producono abbigliamento e calzature hanno aperto fabbriche in Etiopia, Madagascar, Lesotho e Sudafrica, quando questi paesi potevano esportare senza dazi negli Stati Uniti tramite il programma commerciale statunitense African Growth and Opportunity Act (Agoa)[10]. Questo modello di business è però fragile. Ad esempio, nel 2022 l'Etiopia è stata esclusa dal programma Agoa, mettendo a rischio le attività delle imprese che avevano investito per esportare negli Stati Uniti.

Di gran lunga più diffuso è il tipo di imprese che guarda al mercato africano. Molti beni di cui i cittadini africani necessitano non sono prodotti sul continente, ma importati, con costi aggiuntivi derivanti dai dazi imposti dai governi africani e dal trasporto. Molti investitori cinesi hanno perciò visto l'opportunità di produrre in Africa prodotti per il mercato africano. Un esempio rappresentativo è la fabbrica di cellulari della ditta Transsion, in Etiopia. Fondata a Shenzhen, nel sud della Cina, nei primi anni 2000, nel 2011 Transsion ha aperto un impianto di produzione in Etiopia, contribuendo a soddisfare la crescente domanda di telefoni cellulari nel paese. Questo impianto ha permesso all'azienda di produrre telefoni a basso costo, facilitando l'accesso alla tecnologia mobile a un numero sempre maggiore di etiopi. Altri esempi importanti sono le numerose compagnie produttrici di cemento e materiali per l'edilizia (acciaio, vetro, piastrelle), pesanti e perciò costosi da importare, la cui domanda è ora soddisfatta a livello locale da molte compagnie cinesi, con una conseguente riduzione dei prezzi[11].

Il settore delle infrastrutture: dalle motivazioni al problema del debito

Dalle strade alle centrali idroelettriche, e dagli aeroporti alla fibra ottica, le compagnie cinesi in Africa hanno finanziato e costruito molti tipi di infrastrutture, facendo di questo settore quello in cui la loro attività è più evidente nel continente. Tale presenza è dovuta a due fattori principali: la disponibilità cinese a offrire finanziamenti, e la possibilità degli stati africani di accedere a questi prestiti. Dal punto di vista cinese, molte banche statali e commerciali hanno grosse disponibilità di capitale, che sono disposte a prestare ai paesi africani. L'origine di questi fondi risale alla crisi finanziaria globale del 2007-2008. Per risollevare l'economia, il governo cinese finanziò un pacchetto di misure straordinarie che iniettarono nell'economia 4000 miliardi di yuan, pari a 580 miliardi di dollari. Per guadagnare profitti adeguati, le banche cinesi hanno poi offerto in prestito parte di questi fondi ai paesi che ne avevano bisogno, inclusi i paesi africani[12].

Allo stesso tempo, questi stati si trovavano in una situazione economica favorevole: la forte domanda delle materie prime che questi estraevano li rendeva in grado di prendere in prestito ingenti somme. Le proiezioni economiche positive assicuravano che, al momento di iniziare a ripagare i prestiti, i paesi africani sarebbero stati in grado di restituire le somme dovute[13].

I prestiti cinesi hanno due caratteristiche degne di nota. La prima riguarda i tassi di interesse. Alcuni di questi progetti vengono finanziati a tassi agevolati (talvolta pari a zero), o sono addirittura offerti dal governo cinese a fondo perduto. Questa tipologia di fondi finanzia generalmente progetti dalle dimensioni ridotte, collegati alla cooperazione allo sviluppo di Pechino. In altri casi, i prestiti hanno tassi più alti, talvolta vicini ai tassi commerciali, che superano il 10% di interesse[14]. Questo è il caso dei progetti più grandi e spesso più rischiosi, per cui i finanziatori cinesi richiedono maggiori garanzie. Cosa spinge i paesi africani ad accettare queste condizioni? La risposta è che spesso i prestiti cinesi sono l'unica opzione per finanziare progetti che nessun altro, né i donatori né i mercati finanziari, vogliono o possono pagare. Se un governo africano vuole finanziare progetti ambiziosi come ferrovie o aeroporti, spesso i fondi cinesi sono l'unica possibilità[15].

La seconda caratteristica è che alla concessione di fondi cinesi si associa spesso la richiesta di affidare la realizzazione di tali infrastrutture a compagnie cinesi, spesso un grande costruttore pubblico. Negli ultimi decenni, molte compagnie di costruzioni cinesi sono diventate estremamente competitive sul mercato interno, e hanno cercato di espandersi in nuovi mercati esteri, inclusi quelli africani. Dal punto di vista dei finanziatori, lavorare con compagnie nazionali riduce il rischio dei progetti, ma anche la possibilità di ricevere condizioni più vantaggiose da altri costruttori[16].

Le infrastrutture cinesi si trovano in tutte le regioni africane. Nel Corno d'Africa, ad esempio, sono presenti la ferrovia che collega la capitale etiope Addis Abeba al porto di Doraleh a Gibuti, la ferrovia urbana di Addis Abeba e numerose centrali e linee elettriche in Etiopia. Nel Sahel si trovano l'autostrada di 120 km che connette le città di Dosso e Gaya in Niger, e i 32 km di strada a pedaggio che connettono Dakar e Diamniadio in Senegal. In Africa occidentale, invece, progetti degni di nota sono l'autostrada Abuja-Kaduna, la ferrovia di Abuja, il porto e la zona industriale di Lekki in Nigeria e la diga di Bui in Ghana.

Per quanto questi megaprogetti abbiano spesso creato vantaggi economici, ad esempio producendo elettricità, o accorciando i tempi di trasporto tra le località che collegano, questi sono anche oggetto di critiche per il loro impatto sociale e ambientale. Ad esempio, la ferrovia Addis Abeba - Gibuti ha richiesto lo spostamento di molte comunità rurali, in particolare nella regione di Oromo. Il governo etiope, che possiede tutte le terre, ha stabilito l'ammontare dell'indennizzo che i residenti avrebbero dovuto ricevere, ma molti l'hanno ritenuto inadeguato. Ciò ha portato a tensioni e proteste tra le comunità colpite[17]. Un altro esempio è la diga di Bui in Ghana, la cui creazione ha causato l'inondazione di 444 km quadrati di superficie, che includevano anche aree del parco nazionale di Bui, portando alla perdita di vaste aree di foresta, habitat di molti animali del parco, che a sua volta ha causato un aumento delle temperature[18].

Un altro tema rilevante legato al settore delle infrastrutture cinesi è quello del debito. Come evidenziato in precedenza, molti dei prestiti per finanziare le infrastrutture cinesi sono stati fatti in un momento in cui molti paesi africani vivevano un periodo di crescita. Dopo il 2014, il boom delle materie prime è terminato, e molti paesi (come, ad esempio, Ghana e Zambia) si sono trovati in difficoltà quando i loro debiti sono arrivati a scadenza.

È importante però notare che la responsabilità di queste crisi del debito, per le quali spesso si sottolinea il ruolo di Pechino, è in realtà la manifestazione di un problema più ampio. Prendendo come esempio il Ghana, il governo ha annunciato il default sui debiti nel 2022. La Cina vanta ingenti crediti nei confronti di Accra, ma in realtà la maggior parte del debito ghanese deve essere restituito a creditori commerciali, come banche private e fondi di investimento, e a creditori multilaterali come la Banca mondiale[19].

In generale, la suddivisione del debito pubblico africano è la seguente: le istituzioni del governo cinese detengono quasi il 10%, le banche multilaterali (come la Banca mondiale o la Banca africana di sviluppo) oltre il 34% e i creditori privati oltre il 43%[20]. La crisi del debito è perciò un problema rilevante per molti paesi africani, e riguarda anche la Cina; ma oltre all'intervento cinese, la soluzione richiede la collaborazione dei maggiori creditori di ogni paese.

Al di là della cooperazione economica: le motivazioni politiche

Il rapporto tra Cina e Africa è caratterizzato anche da motivazioni politiche e strategiche. Una delle ragioni storicamente più importanti è il supporto politico, soprattutto all'interno delle Nazioni Unite. Questo legame è cruciale per Pechino, poiché con oltre un quarto dei voti totali, il gruppo dei paesi africani detiene un significativo potere di voto all'interno dell'organizzazione internazionale. Storicamente, tale sostegno è stato fondamentale per la Cina, specialmente nel contesto della sua ascesa a potenza globale. La risoluzione 2758 del 1971, che ha riconosciuto la Repubblica popolare cinese come l'unica rappresentante legittima della Cina alle Nazioni Unite (posto che in precedenza era riconosciuto alla Repubblica cinese, ovvero Taiwan), è stata approvata grazie a un ampio supporto da parte dei paesi africani. Questo evento ha segnato un punto di svolta nella politica estera cinese, consolidando la sua posizione nel Consiglio di sicurezza dell'Onu e aprendo la strada a una sua maggiore influenza nelle istituzioni internazionali[21].

La Cina ha utilizzato il sostegno africano per promuovere la sua agenda internazionale, cercando di costruire alleanze che possano contrastare l'influenza occidentale. Importanti obiettivi politici in questo senso sono stati la creazione di istituzioni alternative, tra cui la New Development Bank e l'Asian Infrastructure Investment Bank. Inoltre, la Cina ha assunto ruoli di leadership in diverse agenzie delle Nazioni Unite, come la Fao e l'Unido (l'agenzia Onu per lo sviluppo industriale), grazie anche all'appoggio dei paesi africani, che hanno contribuito a rafforzare la sua posizione come portavoce del Sud del mondo.

Oltre al sostegno politico, motivazioni militari sottendono all'odierna relazione Cina-Africa. La Cina intende proteggere i suoi numerosi asset in Africa, così come i suoi cittadini presenti sul suolo africano. Gli attacchi ai cittadini e alle proprietà cinesi sono infatti rari - alcuni casi eclatanti hanno riguardato l'uccisione di due cittadini cinesi durante un attacco a un cantiere di costruzione avvenuto in Nigeria nel 2018, e il rapimento di nove marinai cinesi e otto ucraini in due attacchi a navi al largo della costa del Camerun nel 2019. Più di recente, nel 2023, nove cittadini cinesi hanno perso la vita durante gli attacchi nella Repubblica centrafricana. Anche gli attacchi dei pirati somali hanno destato preoccupazione nel governo cinese.

Per rispondere a queste possibili minacce, il governo cinese ha stabilito la sua prima (e per ora unica) base militare estera a Gibuti. Questa consente a Pechino di monitorare le attività nel Golfo di Aden e nel Mar Rosso, aree critiche per il commercio marittimo e per la sicurezza delle rotte di approvvigionamento energetico. La Cina ha investito significativamente in infrastrutture e progetti economici in Africa, e la base militare serve a garantire la sicurezza di tali investimenti, specialmente in un contesto di crescente instabilità regionale. La base di Gibuti offre un punto di partenza per le operazioni di evacuazione e protezione dei cittadini cinesi, nonché per missioni antiterrorismo nel Corno d'Africa[22].

È importante anche ricordare la presenza di società cinesi di sicurezza private in Africa. Negli ultimi anni, queste società hanno iniziato a fornire servizi di sicurezza per i numerosi progetti infrastrutturali e di estrazione delle risorse naturali gestiti da aziende cinesi. Questo pone dei rischi rispetto alla sovranità dei paesi africani, e il loro controllo sul territorio in cui queste società private operano[23]. Alcune compagnie più famose sono la Frontier Services Group, società di sicurezza, aviazione e logistica con sede a Hong Kong, parzialmente di proprietà dello stato cinese e fondata e guidata fino ad aprile 2021 da Erik Prince, ex capo della nota Blackwater Worldwide; Huaxin Zhongan, una delle prime a fornire vigilanza armata alle navi cinesi che solcano le rotte marittime ad alto rischio in Africa; e Shanghai Zhongwei, una delle società autorizzate a portare e utilizzare armi all'estero avendo ottenuto la licenza dal ministero del Commercio cinese.

Critiche, controversie e falsi miti

La percezione pubblica della Cina in Africa è un tema complesso, con opinioni contrastanti che riflettono sia aspetti positivi che negativi della presenza cinese nel continente. Molti paesi africani vedono la Cina come un partner alternativo alle potenze occidentali, apprezzando il suo approccio di non-ingerenza negli affari interni. A differenza dei paesi occidentali, infatti, il governo cinese collabora con i governi africani senza porre condizioni politiche (per esempio riguardo al rispetto dei diritti umani) o economiche (come l'imposizione di politiche di austerità o gestione economica di stampo liberista). Questa non-ingerenza è vista positivamente da molti stati africani, che vogliono perseguire il proprio modello di sviluppo, senza necessariamente aderire alle condizioni imposte da esterni[24]. Inoltre, la Cina è vista come un paese che è riuscito a crescere e a liberarsi dalle peggiori forme di povertà in poco tempo, un obiettivo molto ambito dai governi africani e dai loro cittadini.

Tuttavia, la presenza cinese in Africa non è scevra da critiche, motivate o immotivate che siano. Sono già state citate le controversie che riguardano l'impatto sociale e ambientale delle infrastrutture e il loro peso nel debito pubblico africano. Inoltre, le imprese cinesi sono spesso criticate perché non assumono abbastanza lavoratori africani, o lo fanno con condizionali lavorative insoddisfacenti. È certamente vero che le condizioni di lavoro e salariali sono spesso molto proibitive, ma questo problema accomuna le aziende cinesi con gran parte delle aziende straniere e africane che operano sul continente, come dimostrato da ricerche recenti[25].

Altri "falsi miti" diffusi negli anni sulla presenza cinese in Africa sono duri a morire. Tra i più persistenti ci sono certamente quelli che riguardano la presenza di prigionieri cinesi in Africa, portati dalla Cina per svolgere i lavori più faticosi e disumani[26]. Similmente, molti hanno parlato dei "land grabs", o accaparramenti delle terre, da parte dei cinesi in Africa[27]. Più di recente si è diffuso il mito della "trappola del debito" (debt trap), secondo il quale le banche cinesi prestano soldi ai governi africani a tassi proibitivi - e quando questi non possono pagare, le banche si impossessano di terreni, porti e altri beni[28]. Per quanto non sia mai stata trovata alcuna prova che riguarda queste accuse, che sono state spesso smentite da ricercatori ed esperti[29], queste sono dure a morire, e continuano a circolare regolarmente nei media e nelle notizie.

Meritano più attenzione e un discorso più ampio, le critiche riguardanti le accuse di neocolonialismo mosse verso la Cina in Africa. Secondo queste, le pratiche di investimento e i prestiti cinesi, spesso caratterizzati da accordi ineguali e da mancanza di trasparenza, favoriscono principalmente gli interessi economici di Pechino a scapito delle comunità locali. I progetti infrastrutturali, seppur necessari, sono stati accusati di provocare danni ambientali e sociali, mentre le risorse minerarie estratte vengono frequentemente esportate senza un adeguato reinvestimento nelle economie africane[30]. Dall'altra parte del dibattito, le voci più moderate sostengono che è impossibile paragonare la crudeltà del colonialismo del diciannovesimo e ventesimo secolo alle odierne pratiche cinesi; e che queste sono in realtà molto simili a quelle che gli altri paesi stranieri praticano in Africa, investendo in settori chiave, estraendo risorse minerarie e concedendo prestiti[31]. Il dibattito su questo tema solleva questioni importanti riguardo allo sviluppo del continente africano: che ruolo devono avere i paesi stranieri (Cina e altri) in questo processo, e come possono i governi africani controllarli al meglio, per assicurare che qualsiasi investimento offra benefici anche ai cittadini africani, e non solo agli investitori stranieri? Le risposte a queste domande influenzano la valutazione non solo della presenza cinese in Africa, ma anche e soprattutto delle scelte di sviluppo che i paesi africani dovranno effettuare negli anni a venire[32].

Il Forum sulla cooperazione Cina-Africa: direzioni passate e future

Il Focac costituisce un importante strumento di coordinamento della collaborazione tra Cina e Africa. Istituito nel 2000, questo forum si tiene ogni tre anni, alternando una capitale africana a Pechino come sede dell'evento. Il Focac è solo uno dei vari forum del tipo "Africa più uno" ("Africa +1"), appellativo che indica gli incontri tra i paesi africani e un partner (come Giappone, Gran Bretagna e Stati Uniti, e così via, ma anche l'Unione europea). Ciononostante, vista la crescente presenza cinese nel continente africano, e l'interesse che questa suscita, nonché la longevità dell'evento, il Focac è forse il più seguito dalla comunità internazionale.

Il nono summit del Focac si è svolto dal 4 al 6 settembre 2024 a Pechino, riunendo i leader di quasi tutti i paesi africani (tranne Eswatini, che non ha relazioni diplomatiche con Pechino) e il presidente cinese Xi Jinping.

Il Focac indica la direzione futura delle relazioni Africa-Cina, generalmente consolidando le iniziative già esistenti, e annunciando supporto aggiuntivo in aree chiave. Durante il Focac 2024, il governo cinese ha annunciato l'eliminazione di tutti i dazi sulle importazioni dai 33 paesi africani più poveri[33], anche se il 98% dei prodotti di questi paesi era già esente da dazi. È stata anche annunciata la continuazione di altre iniziative per facilitare l'esportazione di beni agricoli africani verso la Cina, per cercare di diversificare i flussi commerciali che al momento sono principalmente costituiti da materie prime e risorse minerarie.

Il governo cinese ha poi promesso di aiutare le compagnie cinesi a investire in settori chiave, come quello farmaceutico e agricolo, e nelle infrastrutture per promuovere il commercio sia tra paesi africani, che dei paesi africani con il resto del mondo, e con la Cina in particolare. Ha anche annunciato numerose iniziative di training e di scambio tra esperti cinesi e africani, in campo medico, militare e industriale. La Cina ha inoltre rilanciato la strategia del "piccolo ma bello", puntando su progetti e infrastrutture più ridotti, ecologici e meno rischiosi finanziariamente rispetto al passato.

Queste iniziative saranno finanziate tramite dei fondi di vario tipo stanziati dal governo cinese. Il "pacchetto" totale promesso durante il discorso di apertura di Xi Jinping[34] ammonta a 51 miliardi di dollari. Questa cifra è maggiore di quella annunciata al Focac 2021, pari a 40 miliardi di dollari, ma minore dei 60 miliardi promessi durante i summit del 2015 e 2018. Se il governo cinese considera il paese uscito dalla crisi causata dal Covid-19, insomma, Pechino dimostra il proprio interesse verso i partner africani con meno ottimismo e disponibilità finanziaria rispetto allo scorso decennio.

In aggiunta alle iniziative pratiche annunciate al summit, la dichiarazione congiunta firmata dai capi di stato e di governo cinese e africani, nonché dal presidente della commissione dell'Unione africana in occasione del forum[35] sancisce i principi di cooperazione tra Cina e Africa. Questa dichiarazione sottolinea in maniera importante come la Cina si consideri un paese del "Sud Globale", unito ai paesi africani da interessi comuni che mirano a creare un ordine mondiale più giusto e inclusivo per i paesi a basso e medio reddito. Questo punto è importante, perché evidenzia la volontà di mettere la Cina sullo stesso piano dei suoi partner africani, mettendo il legame a confronto con quello "egemonico" con le potenze occidentali.

Il Focac 2024 ha sancito la direzione e il tono delle relazioni tra Cina e Africa per i prossimi anni. Pechino punta a rafforzare il sostegno politico africano in un contesto di crescenti tensioni geopolitiche con gli Stati Uniti, posizionandosi come paladina del Sud del mondo. In sintesi, il Focac rimane uno strumento cruciale per l'influenza cinese in Africa, mentre Pechino rilancia le relazioni con il continente in un momento di crescenti sfide geopolitiche globali.

Quali direzioni future per i rapporti tra Cina e Africa?

Le relazioni tra Cina e Africa sono complesse e multidimensionali, caratterizzate da una cooperazione economica e politica in rapida evoluzione. Da una parte, la Cina offre un modello alternativo di sviluppo basato su investimenti infrastrutturali e principi di non ingerenza, attirando l'interesse di molti paesi africani. Dall'altra, emergono sfide e criticità legate a pratiche discutibili di alcune aziende cinesi, questioni di debito e una percezione negativa in alcuni settori della popolazione. Per una proficua cooperazione futura, è importante che la Cina e i paesi africani promuovano un dialogo aperto e trasparente per allineare gli interessi e affrontare le preoccupazioni reciproche, e favoriscano una distribuzione più equa dei benefici degli investimenti, coinvolgendo le comunità locali.

Le relazioni Cina-Africa sono destinate a rimanere centrali nello scacchiere geopolitico globale. Affrontando le sfide in modo collaborativo e adottando un approccio equilibrato, la Cina e i paesi africani possono trasformare questa partnership in un modello di cooperazione Sud-Sud all'avanguardia, in grado di promuovere uno sviluppo sostenibile e inclusivo per il continente africano.

[1] I. Taylor, "Mao Zedong's China and Africa", Twentieth Century Communism, vol. 15, n. 15, 2018, pp. 47-72.

[2] J. Monson, Africa's Freedom Railway: How a Chinese Development Project Changed Lives and Livelihoods in Tanzania, Bloomington, Indiana University Press, 2011.

[3] United Nations Conference on Trade and Development, "World Investment Report 2024: Investment facilitation and digital government", 2024.

[4] "Chinese Loans to Africa Database", Boston University Global Development Policy Center, 2024.

[5] Dati preparati dall'autrice usando il sistema Wits della Banca mondiale.

[6] M. Ericsson, O. Löf e A. Löf, "Chinese control over African and global mining-past, present and future", Mineral Economics, vol. 33, 2020, pp. 153-81.

[7] Z. Usman, e A. Csanadi, "How Can African Countries Participate in U.S. Clean Energy Supply Chains?", Carnegie Endowment for International Peace, 2 ottobre 2023.

[8] Ministero del Commercio della Repubblica popolare cinese, "2021 Statistical Bulletin of China's Outward Foreign Direct Investment".

[9] L. Calabrese e X. Tang, "Economic transformation in Africa: What is the role of Chinese firms?", Journal of International Development, vol. 35, n. 1, 2023, pp. 43-64.

[10]Ibidem.

[11]Ibidem.

[12] L. Calabrese, R. Jenkins e L. Lombardozzi, "The Belt and Road Initiative and Dynamics of Structural Transformation", The European Journal of Development Research, vol. 36, n. 3, 2024, pp. 515-47.

[13] C. Alden, "China and Africa: The Relationship Matures", Strategic Analysis, vol. 36, n. 5, 2012, pp. 701-07.

[14] "Chinese Loans to Africa Database", Boston University Global Development Policy Center, cit.

[15] C. Humphrey, Financing the future: Multilateral Development Banks in a changing world order of the 21st century, Oxford, Oxford University Press, 2022.

[16] D. Brautigam e J. Hwang, China-Africa loan database research guidebook, Washington, D.C., Johns Hopkins University School of Advanced International Studies, 2019.

[17] T. Gardner, "In Ethiopia's Bushlands, Promised Riches of a Railway Boom Turn to Dust", The Guardian, 12 maggio 2018.

[18] P.W.K. Yankson, K. Owusu e A.B. Asiedu, The environmental and social governance of the Bui Dam project in Ghana', in Chinese Hydropower Development in Africa and Asia, in G. Siciliano e F. Urban (a cura di), Chinese Hydropower Development in Africa and Asia, Londra, Routledge, 2017.

[19] R. Savage e M. Jones, "Explainer: Who holds Ghana's debt and what restructuring is planned?", Reuters, 9 dicembre 2022.

[20] "African Debt", ONE Campaign.

[21] A. Vines e J. Wallace, "China-Africa relations", Chatham House, 18 gennaio 2023.

[22] E. Downs, J. Becker e P. de Gategno, "China's Military Support Facility in Djibouti: The Economic and Security Dimensions of China's First Overseas Base", Cna, luglio 2017.

[23] A. Arduino, "The Footprint of Chinese Private Security Companies in Africa", Washington D.C., China Africa Research Initiative, School of Advanced International Studies, Johns Hopkins University, n. 41, 2020.

[24] M. Condon, "China in Africa: What the Policy of Nonintervention Adds to the Western Development Dilemma", Praxis: The Fletcher Journal of Human Security, vol. 27, 2012; R. Aidoo e S. Hess, "Non-Interference 2.0: China's Evolving Foreign Policy towards a Changing Africa", Journal of Current Chinese Affairs, vol. 44, n. 1, 2015, pp. 107-39.

[25] C. Oya e F. Schaefer, "Chinese firms and employment dynamics in Africa: A comparative analysis", Synthesis Report, London, SOAS University of London, 2019.

[26] P. Sandner, "Do Chinese firms employ convicts from China in Africa?", DeutscheWelle, 22 dicembre 2023.

[27] La Via Campesina e Grain, "A new wave of land grabs strikes Tanzania", Committee for the Abolition of Illegitimate Debt, 10 giugno 2024.

[28] B. Chellaney, "China's Debt-Trap Diplomacy", Project Syndicate, 23 gennaio 2017.

[29] Sui prigionieri cinesi in Africa: D. Brautigam, "Is China Sending Prisoners to Work Overseas?", China in Africa: The real story, 13 agosto 2010; sugli accaparramenti di terre: D. Brautigam, "Will Africa Feed China?",Oxford University Press, 2015; sulla trappola del debito: L. Jones e S. Hameiri, "Debunking the Myth of 'Debt-trap Diplomacy': How Recipient Countries Shape China's Belt and Road Initiative", Chatham House, 19 agosto 2020.

[30] T. Lumumba-Kasongo, "China-Africa Relations: A Neo-Imperialism or a Neo-Colonialism? A Reflection", African and Asian Studies, vol. 10, nn. 2-3, 2011, pp. 234-66.

[31] O. Antwi‐Boateng, "New World Order Neo-Colonialism: A Contextual Comparison of Contemporary China and European Colonization in Africa", The Journal of Pan-African Studies, vol. 10, 2017, p. 177.

[32] P. Carmody, "Dependence not debt-trap diplomacy", Area Development and Policy, vol. 5, n. 1, 2020, pp. 23-31.

[33] I 33 paesi africani più poveri includono tutti i paesi del Corno d'Africa, Sahel e Africa Occidentale, eccetto la Costa d'Avorio, il Ghana, la Nigeria e il Camerun.

[34] "Keynote address by Chinese President Xi Jinping at opening ceremony of 2024 FOCAC summit", Xinhua, 5 settembre 2024.

[35] Ministero degli Affari Esteri della Repubblica popolare cinese, "Beijing Declaration on Jointly Building an All-Weather China-Africa Community with a Shared Future for the New Era", 5 settembre 2024.