11/05/2024 | News release | Distributed by Public on 11/05/2024 07:34
La discussione che si è accesa mette in risalto un antico conflitto che sempre accompagna l'arrivo di "nuove" tecnologie: vietare o educare? Questa non è però una vera dicotomia: si educa sia definendo regole e limiti, sia proponendo un uso sano, saggio ed equilibrato degli strumenti. Detto questo, il dibattito alle volte acquista toni surreali.
La scuola nel suo insieme, o le singole scuole, hanno chiaramente il diritto di vietare qualsiasi cosa che ritengano sia di disturbo alla loro missione, che è l'apprendimento e la crescita dei loro allievi. Per questo motivo di solito non si può correre tra le aule in pattini a rotelle ed è vietato mangiare durante le lezioni. Se direttori, docenti e istituzioni trovano che lo smartphone non serva o sia d'intralcio, non vedo il problema. Non credo che questa scelta privi i giovani della "modernità". Inoltre, quando parliamo di tecnologia spesso siamo troppo generici. Qual è il problema dello smartphone?
Avere in classe un dispositivo personale che permette di cercare e condividere informazioni, scattare fotografie, girare video, fare calcoli e correggere la grammatica è chiaramente utile. Ma se mentre faccio queste cose ricevo anche le notifiche di due account social, di WhatsApp e di un videogioco, chiaramente non funziona. Il problema non è il dispositivo in sé, ma gli strumenti, cioè le app, che porta con sé. Oggi buona parte di queste app hanno come obiettivo di massimizzare il nostro tempo a schermo per inviare messaggi pubblicitari personalizzati, usando sistemi anche eticamente scorretti. Davanti ad app così aggressive, il divieto ha un senso: preserva l'attenzione e la serenità degli allievi.
In ogni caso, videogiochi e social possono essere un inizio, non il traguardo. La vera sfida è capire il digitale non come gioco, ma come strumento. La tecnologia oggi si trova negli ospedali, nell'agricoltura, nel turismo, nella cultura. Ciò di cui abbiamo bisogno sono giovani in grado di capire, usare e reinventare questi strumenti per dare forma alla tecnologia di domani.
In generale lo smartphone a scuola si utilizza solo nel caso in cui il docente lo richieda o lo permetta esplicitamente perché ha senso farlo rispetto all'attività didattica. Altrimenti il telefono deve rimanere spento in cartella.
Questo permette una certa flessibilità rispetto alle diverse situazioni di singole classi e/o allievi, e anche di "tarare" l'indicazione nel singolo istituto. Per contro, il Dipartimento dell'educazione, della cultura e dello sport ha sempre giustamente escluso l'uso di piattaforme social per scopi didattici.
La ricerca sulle tecnologie a scuola ha sempre oscillato tra due estremi. Dal fonografo di fine '800 all'IA dei giorni nostri, ogni volta che una nuova tecnologia si affaccia sul mondo della scuola un coro afferma che questi strumenti rivoluzioneranno e miglioreranno la scuola, mentre altri insistono che rovineranno il lavoro educativo e didattico.
Più realisticamente, i dati dicono che le tecnologie di per sé non generano una didattica migliore. Migliaia di studi rilevano che "non c'è alcuna differenza significativa" tra contesti tecnologici e non. Magari la prima volta che si usa uno strumento, ad es. la lavagna interattiva, c'è un effetto di motivazione (viene chiamato "effetto Las Vegas") che però scompare molto velocemente. Ma c'è di più: la ricerca mostra come spesso le tecnologie favoriscano gli studenti migliori rispetto a quelli deboli, allargando il gap tra chi eccelle e chi fa fatica a scuola, un divario che abbiamo potuto osservare in particolare durante la pandemia di Covid-19.
Le tecnologie a scuola però non sono inutili: possono veramente fare la differenza se un docente impara a usarle e le integra nella sua didattica in maniera intelligente.
È determinante la creatività del docente stesso, che sa valutare lo strumento in relazione alla classe, al contenuto, alla situazione e alle proprie competenze. Penso all'uso di registrazioni digitali per migliorare la lettura, a fogli di calcolo con correzione automatica per il calcolo mentale, o a simulazioni interattive: sono strumenti che, se integrati in maniera bilanciata nella "dieta didattica" di una classe, possono fare molto. Senza contare poi gli strumenti che possono aiutare chi ha disturbi di apprendimento o difficoltà particolari.
In Ticino i docenti ricevono una formazione iniziale all'uso delle tecnologie, ma in maniera minore a quanto avviene presso altre Alte Scuole Pedagogiche. Questo corrisponde al fatto che siamo uno dei pochi cantoni in cui l'ambito "Tecnologie e media" nel piano degli studi è una competenza trasversale e non una materia scolastica - non ha cioè ore in griglia oraria, né una sua valutazione, e non ha, nella scuola secondaria, docenti specialisti di quella materia. L'educazione digitale è un compito di tutti che rischia di diventare il compito di nessuno.
Non mancano tuttavia avanzamenti significativi, come l'aggiornamento dell'infrastruttura delle sedi scolastiche cantonali e la formazione dei docenti in servizio realizzata dal Centro di risorse didattiche e digitali (CERDD).
Esistono poi diverse sperimentazioni e progetti condotti anche dal Dipartimento formazione e apprendimento / Alta scuola pedagogica della SUPSI che coinvolgono più livelli scolastici, in particolar modo i licei, dove da alcuni anni è stata introdotta dal Piano Quadro delle Scuole di Maturità federale la materia informatica. Manca però ancora un quadro organico che coinvolga la scuola dell'obbligo nel suo insieme e con adeguate risorse.